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25 Novembre 2023, Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne 

 

È di qualche giorno fa la notizia del ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin, trovata in fondo alle acque del lago di Barcis (PN).

Per tutta la settimana precedente il Paese è stato lì, in sospeso ad attendere notizie, a sperare che non fosse quello che tutti già temevamo: l’ex ragazzo di Giulia, Filippo Turetta l’ha uccisa. Chi davvero si è sorpreso? Lo sapevamo già tutti.

Giulia Cecchettin è l’ennesima, anzi la 105esima nel 2023, DONNA MORTA di FEMMINICIDIO, per mano dell’uomo che diceva di amarla.  

E nei media girano ancora le immagini di loro abbracciati, ragazzi sorridenti, ad evidenziare l’amore che c’era. No, quello non è amore, e questa narrazione non deve più essere utilizzata. Svaluta la responsabilità di lui e rischia di spostarla su di lei scivolando pericolosamente nel campo della vittimizzazione secondaria, ovvero lei se lo meritava perché lo ha lasciato, se lo è cercato: atteggiamento usato tipicamente anche nei casi di stupro.

È sempre la stessa la modalità che usano i media per raccontare la storia di una donna che muore o che sparisce e poi viene trovata morta, uccisa da quello che era un bravo ragazzo, un marito fedele, un padre di famiglia, che l’amava tanto.

Lei viene infantilizzata: Giulia Cecchettin è solo Giulia per i giornali. Lui ha anche un cognome. Lui l’amava, tutti ne sono certi, “le faceva i biscotti”. Ma lei lo ha lasciato, e c’è qualcuno che sospetta che lei avesse già un altro.

Il copione è un po’ sempre lo stesso per tutte, una ogni 3 giorni.

In molti casi si trattava di morti annunciate, precedute da ripetute denunce che però non bastano a fermare il femminicida.

Il dato numerico è così sconcertante in Italia e nel mondo, un fenomeno sociale così sistematico, che c’è un termine per definirlo, appunto femminicidio, ovvero quando ad una donna viene tolta la vita per il fatto stesso di essere donna.

Storicamente alla base degli abusi, delle violenze, delle molestie sulle donne, c’è la grande disparità sociale ed economica tra i sessi. Basti pensare che nel nostro paese fino al 1981, l’uomo che commetteva un delitto d’onore godeva di uno sconto di pena. Ad oggi le donne sono esposte più facilmente a molestie sul lavoro: secondo l’ISTAT sono un milione 404 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro, quasi il 10% delle lavoratrici attuali o passate.

In Italia il calo dell’occupazione femminile durante l’emergenza Covid è stato il doppio rispetto alla media UE con 402mila posti di lavoro persi tra Aprile e Settembre 2020.

Snocciolare numeri e dati statistici è necessario per poter comprendere la portata del tema di cui si discute per tutto il mese di novembre, in vista della Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne 

Come ogni anno ci sono campagne, manifestazioni e discorsi più o meno istituzionali che ci ricordano quanto sia importante la parità di genere.

Ma il FEMMINICIDIO è un’emergenza e come tale va trattata, altrimenti entro 72 ore ce ne sarà un altro.

Ma la domanda che tutti ci poniamo ogni tre giorni è sempre la stessa: è possibile evitare il femminicidio?

Sarebbe possibile, certo. Ma la prevenzione è costosa. I governi inaspriscono le pene, ma questo non è un deterrente. Il femminicida sa bene che rischia il carcere con pene severe.

Sappiamo bene che la strada della prevenzione è lunga e complicata ma sappiamo altrettanto bene da dove comincia. L’educazione sessuale ed affettiva è fondamentale per lo sviluppo di bambini e bambine: ha l’obiettivo di sviluppare l’intelligenza emotiva, la consapevolezza dei propri stati mentali e fisici, delle sensazioni e la complessità dei sentimenti, al fine di favorire relazioni sane, funzionali.

Insegnare ai ragazzi:

  • il valore dell’altro,
  • ad accettare il rifiuto rispettando la scelta di chi si ha accanto,
  • imparare ad accettare la rabbia e il dolore della perdita.

La costruzione di sé passa anche dalle esperienze negative che vanno riconosciute, validate e poi accettate. Capire che le emozioni conseguenti alla perdita o all’abbandono (la rabbia, la gelosia, la tristezza, la disperazione) sono dolorose certo, ma non pericolose, non eterne, e soprattutto che ci sono alternative all’aggressività, alla prevaricazione, al controllo, comportamenti ad oggi ancora normalizzati all’interno di una relazione:

Se è geloso vuol dire che mi ama”,mi controlla il telefono, ma va bene vuol dire che ci tiene”.

No la gelosia non è un segnale d’amore, ma di insicurezza e come tale va trattata.

E alle ragazze va insegnato il valore di sé, l’autonomia, la propria libertà.

Va insegnato che non esiste nessun “mostro”, chi commette femminicidio non è un “malato di mente”, tutti gli uomini sono a rischio perché immersi nella stessa matrice culturale, e finché non si accetta la centralità della responsabilità maschile non si fanno passi avanti.

A tutti va insegnato che la vita non si esaurisce in una relazione.

Questo 25 novembre noi di A.Na.P.P. lo dedichiamo a Giulia Cecchettin che il 16 Novembre doveva discutere la tesi di laurea all’Università di Padova, e noi vorremmo ricordarla così, nell’atto di discutere il suo elaborato per dare inizio al resto della sua vita.

A cura di

Dr.ssa Iolanda Pisotta

Psicologa, Psicoterapeuta

A.Na.P.P.

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