Quando pensiamo al lutto solitamente ci riferiamo alla perdita di una persona cara. La perdita è un tema complesso perché va oltre la morte fisica coinvolgendo il mondo immaginario dell’individuo.
Dalla nascita alla morte, passando per l’infanzia, l’adolescenza e la vecchiaia, ognuno di noi si confronta con esperienze che comportano una trasformazione delle relazioni. Queste relazioni possono riguardare sia gli oggetti reali che le fantasie inconsce che abbiamo di tali oggetti , di noi stessi, e della reciproca interazione.
Parafrasando Judith Viorst (2004), potremmo dire che “nell’infanzia il bambino dovrà accettare di non poter sposare il genitore di sesso opposto al proprio, l’adolescente dovrà fare i conti col fatto che scegliere non vuol dire tradire i genitori e in età matura ognuno di noi dovrà rassegnarsi all’idea che non siamo immortali”. Queste perdite sono parte della vita, sono universali, inevitabili, e necessarie per poter crescere. In altre parole, cresciamo abbandonando.
Nell’ottica freudiana la vita comincia proprio con la perdita. In Inibizione, sintomo e angoscia (1926) Freud considera la nascita, in quanto separazione dalla vita intrauterina, il prototipo delle situazioni traumatiche accompagnate dall’angoscia (angoscia-segnale), poiché impone al neonato la separazione fisica dalla propria madre: l’unica fonte di soddisfazione dei suoi bisogni biologici e affettivi (Brenner, 1992). Per tali ragioni, nella prima infanzia, l’allontanamento del caregiver (ovvero della figura di riferimento che si prende cura di lui/lei) dal campo visivo del bambino (ad esempio quando il bambino dorme da solo nel proprio letto), viene interpretata dal piccolo come la scomparsa definitiva del genitore, attivando in lui un vissuto di angoscia che può manifestarsi col pianto. Ciononostante, se il lasso di tempo che il bambino trascorre da solo non è eccessivamente lungo, il piccolo riesce a tranquillizzarsi anche in assenza del caregiver poiché trova una soluzione simbolica al disagio emotivo.
I sogni come pure gli ”oggetti transizionali”, consentono alla psiche del bambino di creare uno spazio simbolico intermedio tra sé e l’altro, dandogli la sensazione di avere la situazione sotto controllo e quindi di non andare “in pezzi” per il sentirsi completamente abbandonato. E’come se, aspettando che il buon seno arrivi, il bambino “riempie l’attesa” riversando le angosce e le tensioni, ma anche la fiducia che esso “arrivi”, su un suo sostituto immaginario (Baldassarre-Petrini; 2006). Per Winnicott l’essenza dell’esperienza transizionale sta nel fatto che l’oggetto sostitutivo del caregiver non è né sotto il controllo magico (allucinazioni) né al di là del controllo (come la madre reale), aiutando il bambino a negoziare il graduale spostamento dall’esperienza di sé come centro di un mondo totalmente soggettivo, al senso di sé come persona tra le altre, con un’esistenza autonoma (Greenberg-Mitchell; 1986). Potremmo dire quindi che l’attività simbolica si pone al servizio della crescita psichica consentendo all’uomo di vivere la realtà come essere individuato e individuale.
Tra gli esponenti della psicoanalisi Melanie Klein ha dato un ampio contributo alla teoria delle relazioni oggettuali, focalizzando l’attenzione sull’importanza della qualità delle fantasie intrapsichiche infantili nella capacità di vivere il lutto della perdita. Nell’accezione kleiniana il bambino può sostenere il lutto della separazione solo se ha acquisito una solida rappresentazione dell’oggetto completo. Solo con il possesso interno dell’oggetto, e non con la sua presenza fisica, il bambino può salvarsi dalla sofferenza del distacco. In altre parole, in assenza dell’oggetto reale un utile mezzo di cui il bambino dispone per sopravvivere all’angoscia della perdita è il “mondo dei sogni”.
Con il sopraggiungere dell’adolescenza, per passare dall’idea di unicità a quella di separatezza dagli oggetti primari, l’individuo deve abbandonare la dipendenza psicologica dalle figure genitoriali ed investire nuovi modelli di riferimento. Ciò vuol dire che, i genitori fino a quel momento idealizzati man mano perderanno il carattere onnipotente divenendo persone con pregi e difetti. Questo consentirà al ragazzo di idealizzare nuovi oggetti d’amore permettendogli di identificarsi, riconoscersi e confermare il proprio senso di Sé. Quindi, se è vero che crescere significa accettare che i sogni “megalomanici” dell’infanzia non possono realizzarsi, è pur vero che questi desideri continuano a cercare gratificazione nel mondo inconscio dell’individuo. E così, i sogni ad occhi aperti e le fantasie possono contribuire ad appagare questi affetti non soddisfatti. Le fantasie quindi possono garantire una soluzione magica per appagare i propri desideri, anche se spesso finiscono per essere represse nell’inconscio.
Nel sonno, invece, le resistenze perdono parte della loro efficacia permettendo al materiale rimosso di affiorare alla coscienza sotto forma di immagini oniriche, ovvero di sogni: “la via regia che conduce all’inconscio”(Freud, ..). .
I sogni permettono all’individuo di soddisfare le proprie pulsioni e di liberarsi dall’angoscia senza restarne turbato. Ad esempio, in adolescenza è possibile vivere la ribellione contro l’autorità senza grossi traumi, proprio attraverso i sogni.
Pensando allo sviluppo come a una serie di perdite necessarie per ottenere delle acquisizioni, non si può non considerare la morte come un passaggio naturale con cui assicurare una continuità alla vita. Una vita che non finisce, perché continua attraverso le generazioni future che danno il senso di un legame indissolubile tra l’individuo e il mondo. Ciononostante, non tutti riescono a superare l’angoscia che può derivare dalla consapevolezza della brevità dell’esistenza e della mortalità propria e dei propri cari. Simone de Beauvoir dice “… Se amate la vita non troverete nell’immortalità una consolazione alla morte”. In verità è difficile per la maggior parte di noi pensare alla morte senza esserne spaventati. Abbiamo paura dell’invecchiamento e delle perdite profonde con cui la vecchiaia ci confronta. Abbiamo paura dell’annientamento, del non-essere a cui la morte ci riduce. Temiamo di restare soli e impotenti perché le nostre prime separazioni ci hanno dato il primo amaro assaggio della morte e il ricordo di questo evento ci fa rivivere i terrori delle prime separazioni.
L’invecchiamento o la morte, se vissuti come minaccia per la propria salute o per la propria identità, ci fanno ricorrere a espedienti come quello dei sogni, con cui è possibile manifestare i sentimenti penosi pur rimanendo ignari della propria sofferenza. Infatti, la sofferenza onirica, in quanto espressione dell’appagamento “mascherato” di desideri rimossi, non si manifesta solo con la produzione di incubi o di sogni angosciosi, ma anche con la rappresentazione di immagini oniriche piacevoli e gratificanti. Ciò è più che mai vero per i sogni dell’età adulta, dove il contenuto latente subisce un importante processo di “deformazione” per eludere le severe esigenze censorie imposte dall’Io alle pulsioni dell’Es (Galimberti,1999). E così, sogni di castelli meravigliosi, di panorami mozzafiato o sogni all’apparenza insignificanti, quali il prendere un treno in corsa, possono mascherare il terrore per l’approssimarsi della morte dietro una piacevole sensazione di tranquillità (Hadfield, 1968).
Bibliografia
M. Baldassarre & P.Petrini- diagnosi e psicoterapia psicoanalitica, Società editrice Universo, Roma, 2006
C. Brenner- Breve corso di psicoanalisi, Martinelli editore Firenze,1992
R. Cartwright & L. Lamberg –Il sogno nei periodi di crsi, Astrolabio, Roma, 1992
S. Freud- Compendio di psicoanalisi- Bollati Boringhieri, Torino, 2006
S. Freud –Inibizione, sintomo e angoscia, Bollati Boringhieri, Torino, 2006
U. Galimberti –Enciclopedia di Psicologia, Garzanti, Torino, 1999
J.R. Greenberg & S.A. Mitchell – Le relazioni oggettuali nella teoria psicoanalitica ,Il Mulino, Bologna, 1986
J.A. Hadfield – Sogni e incubi in psicologia, Giunti – Barbera, Firenze, 1968
J. Viorst – Distacchi , Sperling & Kupfer Editori, 2004