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L’angoscia di separazione e la dipendenza dalla relazione e dalla malattia. Un caso clinico

Quando si parla di dipendenza in ambito psicologico ci si riferisce, in genere, a forme di dipendenza da sostanze o da dispositivi informatici. Ma  questa visione può essere fuorviante e limitata poiché esistono delle situazioni  in cui la dipendenza viene sperimenta nei confronti della relazione con l’altro. Non  ci si riferisce soltanto all’ambito delle relazioni di coppia, ma alle relazioni affettive in senso lato ed  anche alla relazione terapeutica .

Sappiamo perfettamente che l’angoscia  che caratterizza il funzionamento psichico borderline è una angoscia di tipo abbandonico, un’ angoscia di separazione dall’oggetto, principalmente, ma anche da situazioni che il paziente avverte come stabili e contenitive.

Come sperimenta i legami affettivi il paziente con un funzionamento psichico borderline? In che modo li usa?   E’ lecito domandarci se vive e percepisce  un vero e proprio  processo di scambio nella relazione con l’altro.

I primi anni di vita

L’ambivalenza della relazione stabilita nei primi anni di vita dal paziente di questo tipo con la propria madre, il ruolo paterno poco definito e la disregolazione degli affetti dovuti ad un deficit nel processo di mentalizzazione, fanno si che il paziente stabilirà da adulto  delle relazioni caratterizzate da alcuni aspetti  specifici.

L’angoscia di separazione che contraddistingue questo funzionamento psichico ha come rovescio della medaglia lo stabilire dei rapporti di dipendenza con l’altro, in cui, spesso, il reciproco scambio che si trova alla base delle relazioni caratterizzanti funzionamenti psichici più evoluti, viene a mancare.

A volte questo scambio non esiste proprio, si evidenzia, al contrario, un aggrapparsi  all’altro in maniera anaclitica, un riempire un vuoto: la profonda “voragine” affettiva sperimentata dal paziente borderline.

Un Caso Studio

A circa due anni e mezzo dall’inizio del percorso terapeutico, durante il quale si sono evidenziati importanti miglioramenti, Ambra, una dark lady di 37 anni con un invalidante sintomo psicosomatico  ed un funzionamento psichico borderline, riferisce in seduta di continuare la terapia, verso la quale ha sempre avuto un atteggiamento ambivalente, soprattutto per il feeling che ha stabilito con la terapeuta.  E non per curarsi e per alleviare il suo disagio, seppur molto importante  e nello stesso tempo  negato o minimizzato.

Si tratta di  una relazione transferale che esprime un bisogno estremo di essere accolta ed accudita dall’altro, un trasfert  di tipo narcisitico che pone la  terapeuta all’interno di una relazione controtransferale di onnipotenza che ella  dovrà , necessariamente, abbandonare, sperimentando ella  stessa un profondo senso di impotenza.

Il transfert del paziente borderline è  intriso delle sue componenti contrastanti di idealizzazione e di svalutazione nei confronti del terapeuta, il quale,  pervaso dalla spinta mossa dal paziente al “dover agire “ qualcosa per rispondere alla massiccia  richiesta di accudimento e che non potrà per ovvie ragioni soddisfare in pieno, si ritroverà a dover fare i conti con la conseguente svalutazione da parte del paziente stesso.

Il paziente borderline, difatti, stabilmente instabile, si crogiola nella sua doppia paura di dominio e di abbandono.

Discutendo con la paziente rispetto al significato che attribuisce al concetto di  “legame affettivo”, emerge chiaramente  la dipendenza dalla relazione. Ambra per spiegare la sua idea  di legame utilizza una metafora:  un  legame è per lei  una sorta di corda avente ai due capi opposti , due persone  ,  lei e qualcun altro . Ella  si aggrappa all’altro il quale  cercherebbe  di tirarla a se con l’intenzione  di aiutarla, , ma lei stessa ,  a sua volta,   proverebbe a “tirare” la corda  dalla parte opposta , per ritornare nel suo “baratro di dolore”.

Si evince chiaramente  come non esista in questa situazione appena descritta  un vero e proprio scambio, un dare ed un ricevere.

L’ immagine di legame che ha in mente Ambra è , oltre che qualcosa di fortemente  intriso di dolore , descrive una situazione  saldamente ancorata all’idea del “potersi prendere un aiuto”, un rimanere attaccata alle persone e la conseguente paura di essere “sganciata” da quella presa e lasciata sola.

La metafora della Corda

 Dalla metafora della corda, seppur calzante nel descrivere i termini di un  legame, emerge anche la caratteristica ambivalenza che definisce le relazioni del paziente con funzionamento borderline: l’idealizzazione e la svalorizzazione della stessa, poiché inaffidabile. Più sicuro e certo, appare per la paziente, invece, il dolore, con il quale è abituata a convivere da anni. Emerge infatti che la stessa  Ambra   appare impegnata a resistere al supporto che potrebbe giungerle da chi è all’altro capo della corda al fine di rientrare nel “baratro”. Si delinea  anche una sorta di “dipendenza dalla malattia”,  un evidente valore positivo inconscio del sintomo e del disagio provato.

Ambra, infatti, come riferirà  in seguito, sta bene nella malattia, essa è un porto sicuro in cui si sente accudita. Lo stare male, inoltre, la protegge da se stessa, dal dover pensare, dal “sentire di meno”, in termini di vissuti emotivi intensi che non riesce a padroneggiare.

Ambra, come lei stessa riporta, è abituata fin da piccola ad essere “vista” e riconosciuta solo nello stato di  malattia, solo in situazioni di disagio, fisico soprattutto.  Da bambina, racconta, poteva ricevere qualche coccola o qualche piccola concessione in più, come anche e semplicemente mangiare un dolcetto o un cioccolatino (considerati cose inutili e superflue dalla madre), soltanto quando aveva la febbre. Anche l’acquisto di qualche giocattolino le veniva accordato soltanto  quando doveva sottoporsi  alle analisi del sangue o  ad una visita medica.

Ambra ha un marito al quale si è aggrappata incondizionatamente per anni e un bambino di quasi cinque anni al quale riesce, negli ultimi tempi, a concedere un maggiore spazio di autonomia. La stessa  sperimentava una dipendenza anche dalla figura del figlio,  sentendosi minacciata dai suoi fisiologici processi dei crescita e di autonomizzazione.

 La paziente dipende per  un lungo periodo della sua vita  dalla figura di questo marito con il quale aveva stabilito una relazione in cui lei si aggrappava completamente a lui, delegando allo stesso anche  ogni aspetto di cura verso se stessa. Ha vissuto  momenti di profonda angoscia quando egli si allontanava  di casa per motivi di lavoro, vivendo questi momenti come veri e propri abbandoni. La lontananza dalle figure di riferimento fa vivere alla paziente sentimenti di vanificazione interiore.

La relazione sessuale con il Partner

Anche nella relazione sessuale con il partner  non esiste  un vero e proprio scambio, una vera e propria reciprocità. Ambra chiede al marito di avere  rapporti sessuali quando si sente “giù di morale”, come per riempire un vuoto. In questo rapporto è lei che controlla l’altro, è lei a tenerlo in scacco. Si tratta di un legame in cui la dipendenza dalla relazione mette Ambra  nella condizione di dover controllare l’altro per poterlo avere sempre con sé, allontanando l’angoscia legata all’idea di poter essere abbandonata. 

Si configura in questa area sessuale una sorta di perversione della relazione in cui il piacere scaturisce dal detenere potere e dal dimostrare a se stessi che lo si detiene.

L’atto sessuale si configura essenzialmente come una scarica della tensione e dell’eccitazione. Infatti il paziente borderline tende a trascurare la reale funzione dell’attività sessuale. Secondo O. Kernberg tale funzionamento psichico tende ad utilizzare l’atto sessuale semplicemente come sfogo e soddisfacimento di una pulsione  e non lo vivrebbe come una reale identificazione con il proprio ruolo sessuale e con il ruolo del proprio partner.

Come spiega A. Correale in “ Borderline – lo sfondo psichico naturale” ( 2009), il paziente borderline rincorrerebbe  la sensorialità , intesa come una ricerca attiva di stimolazione dei sensi al fine di attivare il senso di sé e di colmare gravi lacune del sé coesivo che vengono sperimentate sotto forma di vuoto, sensazioni angoscianti e penose. Questo condurrebbe, sempre secondo l’autore,  a cercare l’eccesso della sensorialità, alla ricerca del piacere acuto per colmare l’impoverimento del modo interno. L’eccitamento, cioè, sostituirebbe  il trattenere dentro di sé una presenza significativa costante e protettiva dell’oggetto. La relazione sessuale perciò, in questi casi,  può essere vista come un mero nutrimento narcisistico.

La dipendenza nella relazione che mostra Ambra è legata al fatto che il paziente borderline è un paziente “abbandonico”, impegnato in una continua lotta contro l’angoscia anaclitica. Il senso di vuoto interno e di perdita lo fanno aggrappare all’altro.

D. Winnicott sostiene che il borderline riceve dalla madre il messaggio secondo il quale crescere ed individuarsi provocherà una perdita dell’amore e del sostegno materno, per cui l’unica possibilità per mantenere questo legame è restare dipendenti. Come patologia del narcisismo, il funzionamento psichico borderline presenta una relazione oggettuale che è rimasta centrata sulla dipendenza anaclitica dall’altro. Sia ponendosi in una situazione passiva che ricerca gratificazioni, sia manipolando con modalità aggressive il partner indispensabile, esattamente come si pone Ambra nei confronti del marito.

L’Io individuale del paziente borderline come afferma H. Searles in “Il paziente borderline” (1981), è debolmente strutturato e continuamente minacciato  su due fronti:  egli teme, cioè,  contemporaneamente la separatezza e la fusione simbiotica,  con la conseguente compromissione della   capacità di mettersi in relazione in modo sano con gli altri,

Per poter accettare la perdita di una relazione, infatti, e sperimentare la solitudine, è necessario essere stati autenticamente coinvolti.

Anche l’abbandono di uno stato di malattia da parte del paziente comporta un’esperienza di perdita per il paziente stesso. Ambra, come già descritto,  in alcuni momenti  del  percorso terapeutico sperimenta una dipendenza anche dalla malattia. Secondo  H. Searles, il paziente va aiutato a permettersi di riconoscerla ed accettarla, anche come fonte di gratificazione. Solo così potrà liberarsene, abbandonando ciò che essa ha rappresentato per lui per molto tempo. Egli va aiutato a vederne i significati positivi inconsci.

.Il “lutto” della separazione può rendere le persone autonome o devastate a seconda dei legami che hanno  sperimentato, Ambra è dipendente dalla relazione, senza ne esce devastata. La percezione dell’oggetto è quella di un oggetto inafferrabile.

Il  paziente borderline, inoltre, si avvicinerebbe agli altri con la convinzione che il mondo sia malevolo e pericoloso e con la convinzione di essere particolarmente fragile e vulnerabile, intrinsecamente inaccettabile e quindi destinato all’abbandono I numerosi rifiuti che Ambra ha ricevuto dalla madre in termini di continue privazioni affettive, uniti al reiterato smorzare dei  suoi entusiasmi e delle sue passioni (la vena artistica, ad esempio), l’hanno condotta a “fare delle cose per dimostrare che anche io so fare qualcosa nella vita”, dice Ambra, e portata a “tagliare” prematuramente legami affettivi, anche importanti,  al fine di evitare che, come dice la stessa paziente, “fossero loro a lasciare prima me”.

Il ruolo dei Genitori

Il ruolo dei genitori dovrebbe essere quello di decodificatori, di fare “holding”, ossia di contenere le angosce infantili e di rinviarle filtrate al proprio bambino, di sostenere le identificazioni proiettive, di dare tempo e spazio. L’essere contenuti, infatti, fa avvertire al bambino la presenza di confini precisi rispetto sia al proprio agire che all’angoscia di perdersi, di non avere punti di appoggio, stimolando una dipendenza sana. In questa situazione i genitori del bambino rappresentano una sorta di “pelle psichica” del bambino che lo aiuta a sviluppare un involucro protettivo.

Nelle famiglie con funzionamento psichico borderline in cui i  genitori sono incostanti e contraddittori questo spazio mentale interno materno e paterno che necessità di costanza e stabilità, non esiste, procurando ferite profonde al narcisismo del bambino. Una relazione sana si basa, infatti, su saldi legami d’appoggio.

In conclusione Ambra, dunque, sembra utilizzare  la terapia non tanto per “guarire” e stare meglio  ma per mantenere una dipendenza relazionale dal dispositivo terapeutico  che, probabilmente, avverte come stabile e costante.

D’altronde anche il sintomo per il quale Ambra richiede una consultazione, la sindrome del colon irritabile, è un sintomo gastrointestinale che, come noto, ricondurrebbe ad un dipendenza orale frustrata, in cui il bambino non sarebbe mai risultato soddisfatto appieno del nutrimento fornito dalla madre.  In pazienti con tali sintomi  il rapporto di nutrizione non avrebbe mai rappresentato fonte di distensione, portando, al contrario,  il bimbo verso una costante e spasmodica ricerca di gratificazione dall’oggetto dal quale  risulterebbe per tanto, in ultima analisi, essere dipendente.

 Dott.ssa Mariagrazia Pinciani

Psicologa Psicoterapeuta – Socia ANaPP

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